domenica 27 marzo 2016

NOTTE DI GERMOGLI

È una notte di stelle, di quelle che basta allungare una mano e toccarne una talmente il cielo è limpido e l’oscurità è pressoché totale. La luna sembra farsi da parte, nella sua fase calante, lasciando il suo riflesso nel Mar dei Caraibi calmo e luccicante. È la notte di Pasqua su Haiti. Anche la bidonville sembra più tranquilla del solito. Le bande musicali (e non solo purtroppo…!) che si riversano sulle strade, da dopo il carnevale fino alla fine della Settimana Santa, hanno sospeso i loro scontri rituali. Nelle notti trascorse i disordini, le risse tra ubriachi e violenti, le piccole rivolte degli abitanti della baraccopoli, hanno fatto da contorno a questi rituali religiosi misti al tradizionale e locale voodoo. Bande rivali che lanciano ciò che si chiama pwen ovvero il canto di scandalo, le allegorie delle disgrazie umane quotidiane (come se ci fosse necessità di rimarcarle!), di tutto ciò di cui abitualmente non si parla o di cui, addirittura, non si può parlare.
La lingua creola non riesco ancora a comprenderla bene, anzi capisco molto poco ma con i bambini vige la “lingua universale” dei gesti e dei segni che facilitano ogni comprensione. E allora cerco di tradurre, comprendere quel canto, quella nenia, quella cantilena che dice: “la famiglia di Asefi racconta che Asefi ha buttato via un bebè di sette mesi. I bambini sono ricchezza!!! Parlate!”.
Difficile comprendere se non si conosce Haiti, la storia di questi popoli ridotti nel passato alla schiavitù nelle piantagioni di zucchero della Perla delle Antille che, ribellatosi, costituirono un primo esempio di repubblica nera. Difficile comprendere le parole di un canto che racconta l’assurdità di interrompere una gravidanza al settimo mese, atto disperato contro il corpo e le regole della società giacché i bambini sono “ricchezza”… ma per chi? Loro che corrono nudi tra la spazzatura e la terra polverosa, loro che attendono seduti fuori dalla baracca in lamiera il ritorno degli adulti per ore e ore, loro che si accucciano in una pozzanghera fetida per bere, loro che strappano il cibo dalle fauci dei maiali…

Ecco allora che questo periodo di tensioni sociali sfocia nella calma di questa notte. Dalle colorate Kay dell’orfanotrofio giunge solo qualche lamento dei bebè per l’ora della pappa, ma tutto tace, illuminato dal chiarore della notte che riflette anche sul verde rigoglioso che circonda le costruzioni. Tutto passa in secondo piano: la luna si defila, la confusione tra le baracche sembra placarsi, il clima di insicurezza e di instabilità di questo grande “quartiere” (oltre 200.000 abitanti, ndr) sembra svanire, le bande rivali “stanno al loro posto”, sembra quasi una notte di “demilitarizzazione della mente”, una di quelle notti in cui la “pace” sembra imporsi, in cui ognuno “avverte”, “sente”, “ascolta”…
Sono un bianco vulnerabile che osserva tra le maglie della rete che mi divide dalla bidonville questa realtà miserabile, che lancia uno sguardo al cielo stellato per cercare speranza e conforto e che, cominciando da oggi, vuole rinnovare il suo impegno a trattare chiunque come se stesse per morire entro la notte successiva, elargendo cura, gentilezza e comprensione di cui sono capace, senza pensare ad alcuna ricompensa. Ecco, che disperso in questo angolo di mondo, mi convinco che la mia vita non sarà più la stessa, non potrò mai dire di aver vissuto veramente se non avrò mai fatto qualcosa per qualcuno che non potrà mai ripagarmi.

Le fatiche di un giorno donate a questa terra sono il germoglio giusto nelle periferie di questo nostro mondo.

prof. G.

1 commento:

  1. Rimango senza parole, ma con il cuore che batte forte di fronte alla tua forza e a questa straordinaria capacità di amare, Guido.
    Ti raggiungo con il pensiero, una preghiera e il mio grazie sincero.
    Mariarosa

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